Charles Lancaster, erudito e eccelso armiere dell’ottocento britannico, è da sempre annoverato tra i più importanti costruttori delle canne più rinomate per pistole da duello e di armi da caccia tra le più fini.
Sue erano le doppiette da caccia preferite dal Principe Alberto, consorte della Regina Vittoria, che le apprezzò così tanto da riconoscere a Lancaster l’Attestato Reale nel 1843 che lo eleggeva suo personale armiere, e della discendenza della casa Imperiale.
Charles Lancaster inizio a costruire fucili da caccia nel 1926 e la sua fama, pur lentamente, crebbe sempre. Fornì per lungo tempo, tra le altre cose, le canne per i fucili a quel genio della balistica che era Joseph Manton – il più famoso in assoluto costruttore della sua epoca - e le sue canne erano sempre riconoscibili dalla punzonatura C.L. apposte nella parte inferiore, nello spazio compreso tra il tenone dell’asta e i piani delle canne.
La sua fama crebbe notevolmente passando dal servire la casa reale britannica a quella francese e ad altre corone europee.
Charles Lancaster, perfezionò doppiette hammerles di elevatissimo pregio, dotate di cartelle laterali che montavano le batterie, estrattori automatici e anche monogrilletto, quando ancora la maggior parte dei produttori europei del suo tempo, producevano esclusivamente doppiette da caccia a cani esterni – periodo tanto per inciso e per capire – nel quale nella campana italiana i pochi che potevano permetterselo, andavano a caccia con fucili a luminello.
Era ancora l’epoca piena delle canne damasco e nella loro produzione Charles Lancaster fu da tutti considerato un ineguagliato maestro per finitura, livellamento e foratura.
Utilizzava nelle sue armi un monogrilletto brevettato da Westley Richards, reversibile e meccanico, che non aveva quindi necessità del rinculo della prima esplosione per armarsi.
Lo stesso studio del pulsantino di selezione della prima o seconda canna lo portò a realizzarlo in maniera molto efficace e razionale ed allo stesso tempo elegante.
La sua filosofia “dell’armonia” faceva quasi immaginare nella sua arte lo zampino di arte del ‘500, fatta di sobri equilibri e elementi di pura genialità.